24/01/2012
Direzione territoriale 23 gennaio 2012 Relazione del Segretario provinciale Elisa Meloni
Cari democratici e care democratiche,
la Direzione territoriale di questa sera, ha l’obiettivo di aprire una prima riflessione e un percorso politico e programmatico che ci accompagnerà nei prossimi mesi, che dovrà vedere un grande protagonismo e una massiccia partecipazione, oltreché condivisione di tutto il Partito democratico senese. Non possiamo nascondercelo: stiamo vivendo il momento più difficile e complesso che il nostro Paese e il nostro territorio abbiano mai vissuto nella storia repubblicana. La crisi economica e finanziaria, il progressivo indebolimento della politica europea e mondiale, sommata a una sempre più forte disaffezione e sfiducia, fortemente alimentata dalla cultura populista e demagogica che ha dominato quasi per un ventennio, e le grandi difficoltà che anche il nostro territorio, da sempre depositario di grandi risorse, sta vivendo, rendono quella attuale una fase inedita, straordinaria, che necessita di scelte, risposte, obiettivi, altrettanto inediti e straordinari. Nella consapevolezza che una fase ormai si è chiusa e tutti abbiamo il dovere politico e morale, ma soprattutto la responsabilità di riaprire un cantiere di confronto, dialogo, condivisione, a partire dal quale segnare un nuovo, più forte e determinato protagonismo del nostro Partito e delle nostre Istituzioni.
Un appello alla fiducia è stato lanciato anche da Giorgio Napolitano, nel sesto e forse più difficile discorso di fine anno del suo mandato, quando parlando della crisi economica ha detto che "Resta grave" ma che "L'Italia può e deve farcela". Anche se: “E' faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno. Lo sforzo di risanamento del bilancio culminato nell'ultimo, impegnativo decreto, deve perciò essere portato avanti con rigore. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l'economia riprenderà a crescere: il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale". Insomma, tutto il Paese è coinvolto.
Rispetto alle difficoltà economico-finanziarie è necessario che la nostra società ne esca più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa, in primo luogo assicurando un futuro ai giovani e ripensando a rinnovare le politiche sociali, certamente senza rinunciare al modello europeo e senza intaccare dignità e diritti del lavoro, ma accettando di rivedere il modo di concepire e distribuire il benessere.
La ricetta per la ripresa passa anche attraverso la lotta a due piaghe nazionali: corruzione ed evasione. Il terreno di lavoro e su cui è necessario confrontarsi è l'Europa. Occorrono senza ulteriori indugi scelte adeguate e solidali per bloccare le pressioni speculative contro i titoli del debito di singoli paesi come l'Italia, perché il bersaglio è l'Europa, ed europea deve essere la risposta. Una risposta in termini di stabilità finanziaria e insieme di rilancio dello sviluppo, senza sottovalutare la prospettiva della recessione con tutte le sue conseguenze.
Guardando al futuro vorrei riprendere anche le parole di Barbara Spinelli (“la Repubblica”, 11 gennaio) quando scrive che: “Occorre vedere nella crisi odierna una sfida, una trasformazione possibile, perché per dare dignità al nostro futuro occorre decidere oggi quale crescita vogliamo”. La Spinelli sottolinea che oggi per dare dignità al nostro futuro occorre investire su nuove persone e classi: prima fra tutti gli immigrati, senza i quali finanziare il welfare sarebbe impossibile; i precari, in modo che possano mettere a frutto l’istruzione e la formazione a casa loro; i professori e i ricercatori. In un saggio uscito sul suo blog un giovane studioso di bolle finanziarie dell’università del Michigan, Noah Smith ha scritto: “Il debito di uno Stato di per sé non è malvagio, ma lo diventa quando lo scarichiamo sulle generazioni future per poter consumare adesso”. In realtà occorrerebbe fare il percorso inverso: investire sulle produzioni utili nel futuro e consumabili in maniera nuova da figli e nipoti. Questa credo che sia la vera rivoluzione da fare: onorare chi viene e non ha ancora voce né rappresentanza per avere nel lungo periodo una speranza.
Una fiducia nel futuro che si scontra duramente con il rapporto “Noi Italia” diffuso dall’Istat. La fotografia impietosa di un Paese in crisi con 8,3 milioni di poveri, 3,1 di poverissimi. Il dato più allarmante è quello economico. Più otto milioni di persone vivono in condizioni di povertà relativa. Rappresentano il 13,8% della popolazione, l'11% delle famiglie residenti. La povertà assoluta coinvolge, invece, oltre 3 milioni di persone, il 4,6% delle famiglie. I più colpiti sono i giovani.
In Italia un giovane su cinque non lavora e non studia. Tra i 15 e 29 anni, i Neet (acronimo inglese di "Not in education, employment or training") in Italia sono più di 2 milioni (il 22,1%), la quota più alta dell'eurozona e la seconda dell'Unione europea dopo la Bulgaria. Per il terzo anno consecutivo, i dati dimostrano poi una crescita del tasso di disoccupazione che raggiunge l'8,4%, anche se il valore è comunque inferiore a quello dell'Ue che si attesta a 9,6%. La disoccupazione di lunga durata, che dura cioè da oltre 12 mesi, riguarda il 48,5% dei disoccupati nazionali. L’Italia arranca anche sul fronte ricerca e sviluppo, dove rispetto all’Europa, si registrano meno investimenti, meno addetti e meno laureati. Rispetto al resto d'Europa, poi, l'Italia spende poco per la ricerca. Solo l'1,26% del Pil nel 2009. I ricercatori - 3,8 ogni mille abitanti - sono al di sotto della media europea e distribuiti in maniera eterogenea sul territorio. La quota di imprese innovatrici, soprattutto del settore industriale, cresce dal 27,1% a 30,7%. Il numero di laureati in discipline tecnico-scientifiche rimane basso: sono 12 ogni mille abitanti tra i 20-29enni. Un dato numericamente inferiore alla media europea che viene però riprodotta quando si analizza la quota di imprese italiane con almeno 10 addetti che utilizza la connessione internet a banda larga. Sono l'83%.
Una serie di dati che sono l’amara conferma che in questi anni di mal governo la crisi, più volte negata, non ha fatto altro che colpire duramente giovani e donne. Oggi poi dall’operaio alla commessa sono 2 milioni i lavoratori, soprattutto donne, costretti a firmare lettere di pre-licenziamento all’atto dell’assunzione. Una pratica barbara, quella delle “dimissioni in bianco”che colpisce soprattutto le donne-mamme, visto che come specificano i dati offerti dalla Cgil di Pistoia, questa clausola è nascosta nel 15% dei contratti a tempo indeterminato.
Oggi, quindi, di fronte al rischio incombente della recessione, questo storture sul mercato del lavoro, rendono il nostro Paese ancora più povero e fragile. Una condizione preoccupante con cui governo e politica devono fare i conti per avviare con determinazione e coraggio misure per la crescita e per l’equità. Non si può che ripartire puntando sul lavoro e sulla coesione sociale. Dal Governo Monti gli Italiani si aspettano nel 2012 crescita, fiducia ed equità. Sull’equità molto si è discusso nelle ultime settimane, con conclusioni che non considero ancora soddisfacenti. Come ha detto Bersani il Governo ha fatto parecchie cose buone, ma alcune scelte non vanno bene. La crescita, orizzonte imprescindibile è ancora assai lontano. Se le previsioni si avvereranno, come sembra abbastanza inequivocabile, nel 2012 vivremo la quinta fase di recessione dal 1980. L’incertezza sui mercati finanziari e il fardello del debito sempre più pesante hanno portato organizzazioni internazionali e istituti di ricerca a rivedere al ribasso le stime sull’andamento del Pil della penisola e a tratteggiare uno scenario a tinte fosche. Le nuove previsioni del Fondo monetario internazionale sul nostro Paese annunciano ufficialmente un anno di fermo per l’economia mondiale: il Pil globale crescerà solo del 3,3%, ma soprattutto prevede due anni di vacche magre per il nostro Paese e una flessione del prodotto pari al 2,2% del Pil quest’anno, mentre nel 2013 la crescita in Italia sarebbe -0,6%. La diagnosi è legata al fatto che tutto il mondo risentirà pesantemente delle crescenti tensioni nell’area euro, connessi alla crisi dei debiti sovrani. I rischi al ribasso sono aumentati nelle ultime settimane, quando lo stesso Bollettino di Banca d’Italia ha avvertito che il futuro sarà per l’Italia al ribasso, con due possibili scenari: uno con la recessione a meno 1,5% di Pil quest’anno, una crescita zero per l’anno prossimo e una ripresa pari a +0,8% nel 2013. Per quanto riguarda il 2012, l’incertezza sui possibili sviluppi della crisi del debito sovrano è tale da determinare una situazione di assoluta variabilità che oscilla tra una crescita pari a zero a una flessione dell’attività produttiva pari a tre punti.
La situazione dell’eurozona è molto seria e pesante e negli ultimi mesi è peggiorata. Lo stesso presidente della Banca Centrale Europea (Bce), Mario Draghi si è dichiarato fiducioso che l’euro si troverà in una condizione migliore nel 2012, in quanto molti Governi stanno affrontando con convinzione, determinazione e realismo le due cause alla radice della crisi del debito sovrano dell’eurozona: la mancanza di disciplina fiscale e di riforme strutturali. Draghi, che qualche giorno fa al Parlamento europeo, aveva ricordato che le manovre di risanamento avranno a breve effetti recessivi, ma ha anche aggiunto che dobbiamo abituarci a vivere senza curarci delle agenzie di rating e anzi che occorre limitare il loro potere. Oggi che il capitalismo è diventato il giudice dello Stato, le agenzie di rating hanno travalicato la loro funzione tecnica di valutare i rischi dei singoli titoli e si sono arrogate il diritto di giudicare l’affidabilità complessiva del debito pubblico dei governi e quindi hanno assunto una funzione decisamente politica. Ma come spiega bene Mario Draghi è il caso di ridimensionare i loro giudizi, perché il loro è uno strumento di misura tra tanti, all’interno di un settore che va ricordato è privo di concorrenza. Il ridimensionamento del rating è già iniziato a dare i primi frutti, visto che, nonostante il declassamento del nostro Paese da parte di Standard&Poor’s le borse europee hanno tenuto durante tutta la settimana. Anche il bollettino economico diffuso, qualche giorno fa, dalla Bce sostiene che ci sono timidi segnali di una stabilizzazione dell’attività su livelli modesti: nel 2012 l’economia dell’eurozona potrebbe registrare una ripresa seppure graduale. Draghi ha precisato che sui mercati si vedono già alcuni segnali positivi, soprattutto per le banche, come dimostrano i benefici dell’asta di prestiti triennali all’1% da 489 miliardi di euro di dicembre. Un notevole contributo, quindi, al miglioramento della situazione delle banche, ma anche al clima di fiducia.
La crisi, infatti, ci obbliga a un salto di qualità e invece che cedere al pessimismo, occorre concentrarsi nelle azioni di promozione delle forze attive della società che, nel nostro Paese ci sono, come specifica il 23esimo rapporto Eurispes. Nelle giovani generazioni, ma anche nei lavoratori con maggiore esperienza è presente un enorme serbatoio di professionalità, unito a un alto potenziale di creatività e spirito di iniziativa che occorre promuovere mettendo in campo i necessari meccanismi per premiare merito e competenze senza dimenticare socialità e pari opportunità.
Proprio per dare una scossa all’economia e determinare le condizioni per la crescita del Paese, Monti ha dato il via al decreto sulle liberalizzazioni che inaugura la “Fase due” del suo Governo. Le disposizioni, a detta di Monti, consentiranno, nel breve periodo, di traghettare l’economia nazionale fuori dalla spirale recessiva, di far salire il prodotto interno lordo dell’11%, i consumi dell’8% e i salari reali di quasi il 12%. Un primo passo, quindi, che ci auguriamo possa veramente dare gli effetti sperati. Si tratta di un provvedimento a 360 gradi che il Pd ha sempre chiesto per aiutare i consumatori e le imprese, abbassare i prezzi, sbloccare gli investimenti e creare lavoro. Come ha ricordato il segretario Bersani, nel corso dell’assemblea nazionale dello scorso weekend: “Dobbiamo dare una mano a garantire i meccanismi di crescita tutelando il lavoro e mettendo in equilibrio il sistema, per questo sulle liberalizzazioni proporremo di fare qualcosa di più, soprattutto su quelle materie che incidono direttamente sulle tasche dei cittadini, dei pensionati, delle famiglie numerose”. Banche, assicurazioni, energia gas, trasporti, professioni, distribuzione di farmaci e carburanti sono i settori prioritari d’intervento, che il Pd già un anno fa aveva inserito nel suo Piano nazionale di riforme alternativo a quello che il Governo Berlusconi presentò a Bruxelles. Purtroppo si è sprecato tutto questo tempo. Ora però è necessario andare avanti con coraggio e trasparenza, ribadendo che liberalizzare è importante, che riformare e civilizzare il mercato del lavoro è importante, ma che non è sufficiente per creare lavoro. “Bisogna essere molto concreti ed esserlo subito - ha detto Bersani - così che i mesi della difficoltà che abbiamo davanti siano anche i mesi della speranza e della prima riscossa”. Una spinta propulsiva che da Roma occorrerà mettere in campo anche sul nostro territorio: dove siamo pronti al confronto e all’ascolto, aprendo i nostri circoli e impegnando i nostri amministratori e tutto il gruppo dirigente, per ribadire che il Pd senese sarà sempre una forza riformista al servizio dei cittadini e del loro benessere.
Per il futuro del nostro Paese, oltre al riordino della finanza e alla crescita economica, sono convinta che l’agenda politica non può che essere costruita anche sul riordino del sistema istituzionale e delle autonomie locali. Un’urgenza che oltre per i motivi legati alla riduzione dei costi, trova la sua ragione fondante nella necessità di dare vita a un sistema più efficace nella gestione delle funzioni assegnate. Per questa ragione come Pd ci sentiamo chiamati a una prova di rigore e di responsabilità a cui non possiamo e vogliamo sottrarci. Solo un sistema istituzionale efficiente ed efficace può restituire credibilità al Paese e mettere seriamente in moto la crescita. La Provincia di Siena ha percorso questa strada fin dall’inizio della sua legislatura. Oggi, però, per le Province sta per suonare la campana dell’ultimo giro. Dopo un continuo stop and go di norme che mutano la data di cancellazione delle attuali Giunte e Consigli provinciali e a seguito di durissimo braccio di ferro tra Governo e Unione province italiane (Upi), c’è stata l`ennesima riscrittura della norma che stabilisce che le Giunte e i Consigli in carica arriveranno alla fine del loro mandato, prima di essere cancellati.
Dunque, a scadenza naturale i consigli provinciali dovrebbero essere nominati da quelli comunali, composti da un massimo di 10 persone (compreso il Presidente), e per i consiglieri dovrebbero sparire indennità e gettoni di presenza. Nel frattempo le Regioni dovranno legiferare per attribuire le funzioni delegate alle Province, su questioni relative al personale e per regolare il rapporto tra maggioranze e minoranze e il sistema elettorale. Peraltro la cancellazione delle Province avviene all’interno di un quadro in cui gli organi periferici dello Stato, disegnati sulla dimensione provinciale, vengono mantenuti. Da più parti e in tutte le occasioni si sentono voci che sostengono che abolendo le Province si risparmierebbero 12 miliardi, ma si tratta di dichiarazioni prive di fondamento. A questo proposito vi invito a leggere il recente studio sulle Province dell'Università Bocconi che rileva che 12 miliardi è la spesa totale che le Province sostengono per lo svolgimento delle proprie funzioni (strade, trasporti, formazione professionale, edilizia scolastica, centri per l' impiego, etc) che in ogni caso qualcun’altro dovrebbe sostenere. Non siamo conservatori, ma sappiamo che un ente intermedio come la Provincia esiste in tutta Europa e anche se non ci interessa difendere tutto a qualunque costo, siamo anche consapevoli che si debba procedere velocemente a una definizione puntuale delle funzioni di ogni ente per assegnare responsabilità univoche, affinché la pubblica amministrazione non costituisca un calvario per cittadini e imprese, come oggi troppo spesso accade. In realtà, forse, dal Governo Monti ci aspettavamo una maggiore resistenza alla retorica che dilaga al grido di “aboliamo le Province” e che quindi formulasse in materia di enti locali, una disciplina legittima e ragionevole, anche solo per il fatto che prevedere o meno l’esistenza di enti intermedi, previsti dalla nostra carta costituzionale, è un tema costituzionale. Come ha ribadito sulle pagine de “Il Sole 24 Ore” il professor Valerio Onida, il Governo Monti ha scelto di portare avanti un’operazione surrettizia che svuota le Province della loro natura costituzionale. Il percorso, invece, verso l’efficienza si realizza in altro modo se si vuole ottenere il vantaggio di essere realistico e di produrre veramente il contenimento della spesa pubblica. Un tema questo a noi caro che può mettere alla prova la classe dirigente nazionale per capire se vuol passare ai fatti, abbandonando le dichiarazioni altisonanti che normalmente non producono effetti. Se ci sarà chiesto un contributo siamo disponibili, sicuramente partendo da una riforma del Parlamento, con il Senato Federale e Carta della Autonomia; con un forte dimagrimento degli uffici decentrati dello Stato, che mette in campo una serie discussione sul tema Province, non disgiunta da una seria ricognizione sul riordino del sistema regionale.
In questi anni la Provincia di Siena ha dimostrato, come si proponeva il suo Presidente Simone Bezzini, di essere “cabina di regia”, mantenendo l’impegno di tenere insieme territorio ed esigenze diverse, e ha risposto alle difficoltà, legate alla profonda crisi che attraversa il Paese e che tocca da vicino non solo il nostro tessuto economico, ma anche la vita di migliaia di lavoratori, imprese e famiglie. In tutte queste manifestazioni reali l’amministrazione provinciale ha dimostrato di essere un ente forte, in grado di esercitare un ruolo attivo di coordinamento, di programmazione e di promozione della solidarietà e della coesione tra i territori, grazie a una visione condivisa delle strategie e delle azioni. In questi anni molto è già stato fatto per far diventare la Provincia di Siena, un esempio di coesione sociale e di sviluppo tra i più avanzati in Italia, ricercando le soluzioni concrete ai nuovi bisogni delle imprese e dei cittadini; trasformando le difficoltà in opportunità e attraendo sul territorio non solo risorse finanziarie ma anche capitale sociale e nuova imprenditorialità.
Una “cabina di regia” che, attraverso la costruzione di un governo policentrico, ha dato protagonismo a tutte le aree; valorizzando le eccellenze; rinnovando l’alleanza tra mondo del lavoro e dell’impresa; mettendo al centro le persone, dando una speranza di futuro ai nostri giovani e delineando un tratto essenziale dell’identità di tutti noi e dell’intero territorio provinciale. In più, in questi anni la Provincia di Siena è riuscita a mantenere standard economici e occupazionali tra i più alti in Italia e in Europa, frutto di una macchina amministrativa efficiente luogo sempre aperto alle persone, alle imprese e ai loro bisogni. Un esempio di buon governo che spazza via i fantasmi dell’antipolitica.
Ora si apre una fase per noi assai complessa perché rischiamo che quel punto di riferimento che ha significato benessere e qualità della vita elevata in tutti e 36 Comuni, scompaia e pensare che il futuro possa essere un misero ente di secondo livello, fa rabbrividire al solo pensiero.
Tocca adesso alla Regione disegnare e attribuirne funzioni e competenze. E non vorrei che, come è accaduto per le norme recentemente approvate sui servizi pubblici locali e per trovare un argine ai ritardi accumulati negli anni, inevitabilmente non si scelga di accentrare tutto, con gravi rischi per l’effettiva funzionalità dei servizi, per la democraticità, la trasparenza e la condivisione dei territori, ma ancora più grave, per la distanza dagli interessi delle comunità e dei cittadini. Per questo mi sento di chiedere ai nostri Consiglieri regionali di fare il possibile per spingere la Regione , così come hanno fatto altre realtà del nostro Paese, affinché promuova presso la Corte Costituzionale ricorso rispetto alla illegittimità della manovra Monti in merito al tema delle Province.
L’anno che ci lasciamo alle spalle ha reso ancora più profonda la frattura tra cittadini e politica. Grande insoddisfazione nei confronti della politica e per i rappresentanti istituzionali è stata espressa, secondo una ricerca Demos della fine del 2011, dall’ 80% degli Italiani. Quasi otto persone su dieci pensano che, nel corso del 2011, le cose sotto il cielo della politica siano peggiorate. E se da una parte, il deficit di credito ha aperto la strada al moltiplicarsi delle forme di mobilitazione (movimenti, forme di partecipazione, l’onda referendaria), dall’altra ha dato vita a forme di eccezionalità democratica, come il Governo Monti che però è che chiaro deve la sua esistenza alle forze politiche che, come il Pd, con grande senso di responsabilità, lo appoggiano e ne garantiscono la sopravvivenza. Dopo il Professore, però, è necessario che la politica torni a fare la sua parte, perché nel cuore della crisi che sta attraversando l’Italia e le altre nazioni dell’euro, la politica deve avere un peso più autorevole e guidare l’economia con scelte forti e condivise, insomma la politica abbia “l’animo grande e l’intenzione alta” come scriveva Machiavelli. L’Italia deve riprendere in Europa il ruolo che ha perduto per responsabilità di Berlusconi e che piano piano il Premier Monti sta facendoci riguadagnare. Oggi il difetto della politica è quello di non avere l’autorevolezza e la forza di dare risposte. Una mancanza anche nei confronti dei movimenti, che ci chiedono di riprendere le redini e correggere le storture, le disuguaglianze, le ingiustizie, la drammatica esclusione sociale di una generazione che è il prodotto di uno sviluppo capitalistico senza regole. Napolitano, sempre a fine anno, in tal senso ha dato a tutti un monito ben preciso. E Mario Tronti ha ricordato: “Non è vero, come recita la vulgata corrente, che la crisi della politica deriva dal suo distacco dalla società civile. Al contrario, la politica entra in crisi perché somiglia troppo alla società civile. Ne ha assunto i peggiori vizi ed è diventato l’hegeliano regno dei bisogni”. La vera risposta della politica è in termini di autorevolezza, di capacità di riguadagnare le leve del potere. La politica perde prestigio perché si separa dalla forza, e così facendo diventa predicazione. L’antipolitica, che si è rafforzata durante il Governo Berlusconi, produce leader capaci di raccontare belle storie, ma incapaci di decidere. Ecco, la crisi della politica è lì: quando non è capace di incidere sulla realtà. Al contrario la politica deve tornare a governare i grandi processi e raccogliere la sfida dell’economia globale. Questo si può fare soltanto con istituzioni forti e all’interno dell’Unione europea.
I movimenti progressisti non possono che essere europeisti ed è molto importante che i progressisti vadano al governo sulla base di idee condivise, che individuino grandi obiettivi comuni: l’Europa non può ridursi a tagli e austerità. Occorre una strategia europea di rilancio della crescita, attraverso un grande piano di investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione ed energia verde. Oggi le istituzioni europee sono indebolite, sostituite da pochi governi nazionali, prigionieri dei loro problemi interni, incapaci di assicurare un governo politico dell’Europa, per questo occorre riprendere in mano il processo di integrazione.
“Peggio della politica c’è solo l’antipolitica”. La mancanza di fiducia nella politica può spingere i cittadini a delegare la propria sovranità a dei tecnici, rinunciando in tal modo al principio stesso della democrazia. Forse il discorso funzionerebbe meglio al contrario: i cittadini devono certamente rivendicare un diritto, ma dall’altra parte deve essere la politica a riconquistarne la fiducia. E ciò che rende migliore la politica non è, o almeno non dovrebbe essere, il confronto con un’alternativa peggiore. Come insegnerebbe ogni bravo sportivo, vittoria è quando si vince sulla propria bravura, non sugli errori dell’avversario.
Eppure noi crediamo che la politica possa e debba vincere. La Politica, sì, è migliore dell'antipolitica. Non la politichetta, quella degli intrighi, dei sotterfugi, della lotta all'ultima tessera o alla poltrona più remunerativa. La Politica con la P maiuscola. La Politica che, in un tempo così anestetizzato nei confronti di tutto, in cui le emozioni sono delegate a patetiche scene da film, sappia ancora infondere passione. La Politica che sappia restituire delle speranze.
Oggi la realtà della crisi più dura del secondo dopoguerra ci ha dimostrato che un tecnico non basta, perché neanche i tecnici fanno miracoli, occorre riprendersi con l’arma democratica del voto il proprio spazio. E anche se non è mia intenzione giudicare l’operato dei tecnici, mi preme sottolineare che la politica non è tecnica, perché una nazione non è un insieme meccanico di individui. È un insieme organico di cittadini, di anime, di pensieri, di tradizioni, di storie al tempo stesso individuali e collettive. In altre parole, una comunità umana a cui non servono soltanto delle leggi che funzionino, ma anche una visione del mondo, un’etica, una filosofia, un’idea, un’impostazione di pensiero che regoli e guidi il modo in cui queste leggi vengono formulate, messe in atto e fatte rispettare. E questo compito può spettare solo ad un politico nel senso più alto e sublime del termine, colui che, secondo la definizione aristotelica, governa e guida la comunità dei cittadini. E per ridare vigore e forza alla nostra democrazia, occorre dotarsi di uno strumento partecipativo fondamentale e occorre, quindi, impegnarsi per cambiare l’attuale legge elettorale. Il Parlamento ha il dovere morale e politico di farlo perché come ha scritto Massimo Giannini su “la Repubblica”: “Solo liberandoci del Porcellum, il brutto giorno della democrazia (ossia quello determinato dalla decisione della Consulta sui referendum) si potrà trasformare nella grande chance democratica”, che sono sicura spazzerà via i fantasmi dell’antipolitica. Il Partito democratico è l'unica forza politica ad aver presentato formalmente la propria richiesta di riforma elettorale in Parlamento. Pier Luigi Bersani ha chiesto che la conferenza dei capigruppo di Camera e Senato si riunisca al più presto per stabilire un calendario dei lavori, perché il “Porcellum” non può che aprire nuovamente un solco drammatico tra cittadini e istituzioni.
La presa di posizione del Presidente della Repubblica da una parte e dei Presidenti dei due rami del Parlamento è una spinta ulteriore a muoversi sul terreno di un confronto e un dialogo stringenti, in tempi ravvicinati, nella consapevolezza che questa è una materia su cui nessuno può fare da solo, ma dovrà essere trovato un punto d’incontro. La riforma del Pd prevede un maggioritario a doppio turno per il 70% dei seggi da attribuire, assieme a una quota proporzionale su base regionale (pari al 28% dei seggi) oltre al cosiddetto “diritto di tribuna”: il restante 12% attribuito con metodo proporzionale alle liste nazionali corrispondenti ai partiti, che non siano riusciti a eleggere candidati né nell’uninominale né nel proporzionale. Secondo il Partito democratico, e non possiamo tutti condividerlo, è determinante per un rinnovato rapporto di fiducia con i cittadini e con il Paese, per il Pd è fondamentale che gli italiani possano scegliere, attraverso lo strumento democratico del voto, chi siederà in Parlamento e chi li governerà. Non posso altresì, che condividere, come detto più volte in questa sede, che se non ci fossero le condizioni per una riforma, per quanto riguarda le scelte del Pd non potrà che essere utilizzato il metodo delle elezioni primarie.
Veniamo al nostro territorio, perché sono convinta che a Siena noi Democratici sapremo, con il nostro impegno civile e politico, dare gambe alle idee e ai valori del nostro Partito. Come ricordavo all’inizio, stiamo vivendo una fase difficile, ma dobbiamo avere insieme la capacità di costruire una nuova stagione di sviluppo e benessere per il nostro territorio, in un quadro molto cambiato rispetto agli ultimi decenni. Come hanno ricordato solo qualche giorno fa Simone Bezzini e Franco Ceccuzzi: “Siena ha i ‘numeri’ per guardare al domani con fiducia”. Siena e la sua provincia hanno la forza e l’energia per superare questo momento difficile, anche grazie a progetti e investimenti messi in campo in questi anni, che oggi rappresentano filoni di sviluppo strategici a livello regionale e non solo. Siamo pronti, grazie al lavoro fatto in questi anni, a essere protagonisti in alcuni dei settori che saranno i motori principali dell’economia di domani: dal biomedicale alle biotecnologie fino all’Ict e al distretto culturale, con al centro il recupero e il rilancio del Santa Maria della Scala, per vincere la sfida per Siena capitale europea della cultura nel 2019.
A dicembre è stata presentata la relazione sociale 2010 della Provincia di Siena dove si vede un aumento della popolazione e si registra un tasso di disoccupazione inferiore rispetto ad altre realtà toscane. La relazione sociale ci consegna la fotografia di una provincia dove l’immigrazione si conferma una risorsa culturale, sociale e demografica. Dal punto di vista delle famiglie si conferma, il dato nazionale, sulla crescita dei nuclei monogenitoriali, oltre a separazioni e divorzi, con una variazione dei carichi di cura per anziani e bambini e una crescita degli indicatori di fragilità. In aumento anche il carico potenziale di assistenza agli anziani non autosufficienti che grava sulle famiglie, con dati superiori alla media regionale, e agli anziani fragili ad altissimo rischio di non autosufficienza, pari al 15 per cento delle donne residenti e al 13 per cento degli uomini. Una provincia dal reddito medio – alto, guardando al reddito medio Irpef relativo al 2009, la provincia di Siena risulta più ricca della media regionale, ma solo grazie alla zona senese (22.743 euro della provincia di Siena contro i 22.499 euro della Toscana). Dalla relazione sociale emerge anche un quadro indicativo delle difficoltà economiche che vivono molte famiglie della provincia, alle quali gli enti locali, a partire dai Comuni, ogni giorno, cercano di fare fronte con forme di integrazione. Preoccupante anche il dato riferito ai giovani NEET, ossia quelli di età compresa fra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non cercano un impiego. Il dato provinciale senese, pari al 17,5 per cento. Secondo l’indagine realizzata dall’Istituto di ricerche economiche sociali Ires Toscana per conto della Provincia di Siena, l’occupazione continua a tenere, con dati migliori rispetto alla media regionale. Peggiora, però, la qualità del lavoro, con un aumento di forme contrattuali “precarie”. La fotografia scattata dall’Ires, in relazione al primo semestre 2011, descrive una provincia che ha retto meglio il momento più acuto della crisi rispetto al contesto regionale, ma che presenta comunque elementi di preoccupazione, dall’aumento del lavoro temporaneo (solo l’8% dei nuovi avviamenti è rappresentato dai contratti a tempo indeterminato), alla crescita degli iscritti ai Centri per l’impiego, a partire dai giovani (+23%). Gli ultimi dati Istat sull’occupazione, inoltre, segnalano una situazione e una tendenza migliore in provincia di Siena rispetto al resto della regione: il tasso di attività, che in Toscana diminuisce, passa dal 68,9% al 69,5%, mentre quello di disoccupazione scende dal 5,1% del 2009 al 4,9% del 2010, in controtendenza rispetto al dato regionale (dal 5,8% al 6,1%) e, ancor di più, a quello nazionale (dal 7,8% all’8,4%) e ancor di più a quello nazionale.
Il mercato del lavoro ha ripreso timidamente a muoversi, ma preoccupa il fatto che a crescere è tutto il lavoro atipico e dunque peggiora la tipologia e la qualità dell’occupazione, quindi aumenta la minaccia di una vita più precaria. Con le misure straordinarie messe in campo in questi anni dalla Provincia di Siena è stato assicurato una sorta di ammortizzatore sociale anche per chi ne era privo, e sicuramente ciò ha contribuito a limitare il disagio sociale. Ma servono interventi complessivi di riforma nazionale che possano rendere più conveniente per le aziende il ricorso al lavoro stabile e occorre proseguire con gli incentivi alle aziende che assumono con contratti a tempo indeterminato, come stanno facendo la Regione e la Provincia. Dal punto di vista dell’analisi del quadro economico generale, come in Toscana, si assiste ad un incremento della produzione manifatturiera, ma ci sono difficoltà a tornare sul sentiero di crescita pre-crisi.
Buoni i dati sull’export, con un aumento nel secondo trimestre 2011 del 4% rispetto al 2010, del 53% rispetto al 2009: la domanda estera, in particolare, sta trainando nella metalmeccanica, nella chimica e nei minerali e nei servizi. Tutto questo è stato possibile grazie ai due pacchetti di misure anti crisi, emanate dalla Provincia di Siena grazie alle risorse della Fondazione Mps e all’impegno profuso, passo dopo passo, in ogni azienda in difficoltà con l’obiettivo di difendere punti produttivi e occupazione.
Dobbiamo spingere ancora di più sul terreno dell’innovazione e ricerca, e considerare il Patto strategico che sarà siglato con la Regione uno dei più importanti contributi per agganciare la ripresa e guardare con speranza al futuro. Un patto che avrà bisogno di un continuo confronto con le parti sociali e con gli attori economici e non solo, perché, mai come ora, è necessario lavorare in stretta collaborazione e sinergia con le istituzioni locali e regionali per aprire il territorio a nuove sfide. Il “Governo dei Nove”, come è stata ribattezzata la cabina di regia formata da Provincia, Comune, Camera di Commercio e sei sindaci in rappresentanza dei territori, nasce proprio all’interno di questo rinnovato spirito di responsabilità che servirà non solo a tutelare, ma anche a rafforzare l’elevato livello qualitativo del territorio, mettendo in campo un nuovo modello di crescita, che valorizzi la capacità di fare sintesi e selezione degli investimenti. Questo territorio ha già dentro di sé “i numeri” per farcela'‘ puntando sulla credibilità e sull’autorevolezza delle istituzioni e delle forze politiche che la abitano. Tutto questo anche contro operazioni in atto, volte a destabilizzare la città e la provincia ed a recidere il legame storico tra banca e territorio, mosse solo da interessi ed ambizioni particolari. Lo scenario che abbiamo di fronte è tanto e profondamente diverso dal passato e servirà la capacità, la lungimiranza, ma anche il grande senso di responsabilità e la ricerca di condivisione e unità, che non possono non essere gli obiettivi di tutti. Le migliori risorse andranno investite proprio in questo senso.
Rigore, trasparenza e legittimità devono essere anche al centro dell’azione di risanamento dell’Ateneo, l’abbiamo detto più volte. La chiusura delle indagini rappresenta un importante passo avanti per arrivare a individuare le responsabilità e la verità in tempi rapidi. L’Università ha bisogno di credibilità e autorevolezza perché solo in una situazione di chiarezza e di piena legittimità si può continuare a portare avanti un piano di risanamento senza rendere vani tutti gli sforzi e i sacrifici sin qui fatti da tanti lavoratori del nostro ateneo. Serve poi maggiore equità nel distribuire questi sacrifici, che finora sono stati sostenuti prevalentemente dal personale tecnico amministrativo, dai precari, dai dipendenti delle cooperative sociali, dai collaboratori linguistici. Serve maggiore equità ma anche più coraggio nella razionalizzazione delle sedi e parallelamente all’azione di risanamento è necessario individuare gli obiettivi strategici: da una riorganizzazione interna del personale e dell’attività formativa, dal rafforzamento del dottorato e della ricerca, da una sempre maggiore attrattività nazionale e internazionale e da una collaborazione sempre più forte col territorio senese.
Un altro pilastro del nostro territorio è il Monte dei Paschi, terzo gruppo bancario del Paese e azienda più grande della Toscana con 30mila dipendenti. La Banca rappresenta una grande risorsa per Siena e per l’Italia, in virtù del grande sostegno che fornisce al sistema produttivo del Paese, dei livelli occupazionali che ha sempre generato e delle importanti ricadute assicurate all’economia locale. La recessione economica, ha condizionato e condiziona, pesantemente, la redditività di tutte le aziende di credito (legate all’andamento del ciclo economico, alla solvibilità dei soggetti finanziati, all’aumento di rischio di credito delle imprese). Fino ad oggi questi rischi sono stati ben contenuti, anche anticipando le regole di Basilea 3, che stabilivano nuovi coefficienti patrimoniali a seguito dei quali BMPS, in compagnia di numerosi altri istituti di credito, nel corso del 2011 ha proceduto a un aumento di capitale, per circa di 2,5 miliardi. In merito a quest’argomento che abbiamo affrontato anche nel corso di una precedente Direzione, mi fa piacere ricordare chela Banca, in tutta la sua storia, anche nei momenti più difficili, ha sempre considerato la vicinanza al territorio, alle imprese e alle famiglie un grande fattore strategico.
Il terzo trimestre è stato caratterizzato da scarsi risultati economici, dovuti per la totalità delle banche italiane a ricavi non ricorrenti, o meglio straordinari, in assenza dei quali si sarebbero manifestate perdite più o meno rilevanti (la posizione patrimoniale, compresi i tremonti bond è significativa essendo superiore all’11% di core tier 1, la cui restituzione è necessaria, sia pur oggi, di fatto, ostacolata dalle contingenze di mercato. Vale la pena sottolineare che senza T bond il Monte manterrebbe un core tier 1 di 8, 95 %. Vi è da auspicare che la banca riesca a restituire questi costosi strumenti di capitale nel più breve tempo possibile, sempre però tenendo conto che la stabilità della banca in questo specifico momento storico è un bene che va posto prima di ogni altra esigenza). Per fronteggiare la crisi del debito sovrano italiano l’Autorità Bancaria Europea (spinta dal FMI e dalle agenzie di rating) continua a chiedere per il Monte un aumento di capitale 3,2 miliardi (Aache il criterio adottato, del market to market, viene richiesto per i titoli di stato, penalizzando i paesi quali l’Italia, e non per i titoli illiquidi, di cui le banche del nord Europa sono piene).
Come hanno già avuto modo di dire Simone Bezzini e Franco Ceccuzzi la nomina a Dg di Fabrizio Viola è un passaggio di primaria importanza per le prospettive industriali del Monte, chiamato, come gli tutti gli altri attori del sistema finanziario, a riposizionarsi in un contesto profondamente mutato e logorato dal perdurare della crisi economica. Le priorità oggi sono due: la prima è quella di individuare gli strumenti per scongiurare un ulteriore aumento di capitale; l’altra è di predisporre il nuovo piano industriale. Intanto giovedì scorso il cda della Banca ha approvato e inviato a Bankitalia il piano per far fonte alle richieste dell’Eba che prevede: la conversione dei prestiti obbligazionari fresh 2003 e 2008, operazioni di ottimizzazione dell’attivo e del passivo secondo i criteri fissati da Basilea3, e infine un piano di dismissioni di asset. Insomma un piano che ottempera all’esercizio dell’ Eba, senza ricorrere all’aumento di capitale, perché come ha detto lo stesso Viola: “All’interno del bilancio della Banca c’è spazio per una manovra per colmare il gap patrimoniale, peraltro interamente imputabile alla copertura del rischio collegato ai titoli di stato e al netto di questa voce, il capitale della banca è adeguato”. Rispetto al piano industriale l’auspicio è che contribuisca ad aprire una stagione di sviluppo per Banca, insostituibile colonna portante dell’economia senese e toscana.
In questa tempesta finanziaria il patrimonio delle fondazioni bancarie, che negli ultimi anni hanno svolto un ruolo importante nella stabilizzazione delle partecipazioni negli istituti di credito, contribuendo a mantenere la proprietà delle banche italiane in ambito nazionale, cosa fondamentale, in questa fase di incertezza ha subito, a valori di mercato, una riduzione assai rilevante. Il reddito prodotto dagli investimenti finanziari si è anch’esso ridotto, se non annullato, diminuendo le risorse da destinare al soddisfacimento degli obiettivi istituzionali, statutariamente definiti, ma anche le stesse erogazioni. Nella scorsa primavera la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, coerentemente con i documenti programmatici di Comune e Provincia, in cui si è sempre affermato l’impegno a mantenere l’indipendenza strategica della Banca Monte dei Paschi e la sua non scalabilità, ha sottoscritto l’aumento di capitale della banca per 1,09 Mld di euro.
Tale obiettivo era raggiungibile esclusivamente attivando un debito di euro 600 milioni, poi da ridurre con le dismissioni definite nel progetto presentato al ministero per la relativa autorizzazione. Per arrivare a 428 milioni. Tali dismissioni avrebbero permesso, quindi il pagamento della prima rata di euro 200 mil al 30 giugno 2012. La restituzione dei t bond, prevista nel piano industriale con il conseguente incremento di 160 mil di euro a disposizione per gli azionisti ed i risultati economici previsti, avrebbero permesso di pagare le altre 2 rate di 50 mil in scadenza al 30 giugno 2013 e 2014 e le altre previste fino al 2017. Ma per una valutazione complessiva del debito è necessario prendere in considerazione i titoli fresh 2008 emessi per l’acquisizione Antonveneta con un valore complessivo nominale di 490 milioni (azioni e debito).
Negli ultimi documenti approvati dai consigli comunale e provinciale, dal punto di vista strategico è stato ribadito che sarà fondamentale proseguire nell’ottica di una sana e prudente gestione e del rispetto dei vincoli statutari, con una gestione del patrimonio finalizzata al consolidamento e alla diversificazione dello stesso, in modo da ridurne progressivamente sia la concentrazione, che la dipendenza dalla redditività complessiva dell’Ente dalla Banca. Dopo la sottoscrizione dell’aumento di capitale si è aperta per la Fondazione una fase nuova, inedita e molto, molto complicata.
Gli accordi raggiunti con le banche creditrici, prima di Natale, stabiliscono tappe impegnative e rigorose: entro il prossimo 15 febbraio la Fondazione dovrà predisporre un piano che preveda varie operazioni sul patrimonio, compresa la diluizione nella Banca conferitaria; ed entro il 15 marzo il piano dovrà essere definito con i creditori e poi realizzato entro il giugno 2012.
I prossimi mesi su questo fronte saranno veramente decisivi. Dovremo continuare ad avere una Fondazione in grado di svolgere il proprio ruolo con modalità, obiettivi e risorse a disposizione diverse dal passato e, al tempo stesso, mantenere salda e ancora la Banca al nostro territorio. Lo scenario che abbiamo di fronte è tanto e profondamente diverso dal passato e servirà la capacità, la lungimiranza, ma anche grande senso di responsabilità e la ricerca di condivisione e unità, che non possono non essere gli obiettivi di tutti. Le migliori risorse andranno investire proprio in questo senso.
Care democratiche, cari democratici, quello che ho cercato di tratteggiare è lo scenario che abbiamo di fronte. Credo che alla politica, oggi, dopo un’attenta e precisa analisi di quello che è accaduto negli ultimi anni e delle grandi trasformazioni in atto, spetti il compito (dal mio punto di vista, il dovere) di promuovere la più ampia discussione possibile per costruire una risposta forte, ridisegnare una prospettiva credibile e il più possibile duratura. Vi è un sentimento di sfiducia, preoccupazione e paura del futuro, che attraversa la mente e il cuore di un numero crescente di persone, nel nostro paese e nel nostro territorio a cui la politica deve essere attenta ed efficace nella capacità di risposta, anche se, in queste condizioni economiche e con tutti i tagli subiti dagli enti locali, tutto questo oggi diventa veramente complicato, come ci dimostrano le difficoltà che i nostri sindaci stanno affrontando nella predisposizione dei bilanci dei comuni. Difficoltà, ma anche impopolarità delle misure che sono costretti ad assumere.
Possiamo farcela solo se la politica riuscirà a offrire una risposta alle sfide che abbiamo di fronte. Una politica orientata all’unico Bene supremo che esista, quello Comune, al di sopra di ogni aspettativa dei singoli e di qualsiasi interesse contingente. Per questo nel costruire la nostra agenda politica per le prossime settimane e mesi, fermo restando alcune variabili non nella nostra disponibilità e relative a quello che verrà deciso a livello nazionale, considero prioritario e vi propongo un lavoro del Partito nella direzione di un appuntamento programmatico provinciale. Un’elaborazione autonoma, di contributo per la Toscana che ha previsto entro aprile la Conferenza regionale di cui inizieremo a discutere nella prossima riunione della Direzione territoriale.
Una riflessione fatta soprattutto per aggiornare quella del 2008/2009 costruita in uno scenario assai meno complesso di quello attuale, che a mio parere si dovrebbe dipanare lungo due grandi assi: quello del nuovo modello di sviluppo per il nostro territorio e quello della democrazia, partecipazione e cooperazione istituzionale. Due grandi filoni che raccolgono al proprio interno gran parte delle nostre politiche. Il primo: l’occupazione di qualità, lo sviluppo sostenibile, il modello di welfare, la cultura e l’innovazione. Il secondo: la coesione territoriale e la partecipazione democratica nel momento in cui punti di riferimento storici vengono meno e corriamo il rischio un deficit democratico a seguito delle ultime novità in campo legislativo. Due assi paralleli che si tengono, come i binari, che non possono separarsi l’uno dall’altro e sono essenziali l’uno per l’altro. Come essenziali per la tenuta democratica nel nostro territorio saranno i prossimi due appuntamenti con le elezioni, da una parte, e con la campagna di tesseramento dall’altra. La tradizione partecipativa, i valori della nostra cultura politica sono nuovamente chiamati in causa perché il compito del Pd è quello di reagire in modo unito e compatto rafforzando l'iniziativa politica e garantendo un sostegno particolare alle realtà che andranno al voto quest’anno Montalcino, Monticiano e Sarteano. A Maurizio Buffi, Mauro Cencioni e Roberto Burani, alle Giunte e ai Consigli comunali uscenti, va un forte e sentito ringraziamento da parte di tutta la Direzione territoriale, per il lavoro svolto in questi anni non semplici. Sono già aperti, in questi tre comuni, percorsi per l’individuazione dei candidati sindaco del Pd e parallelamente, a livello provinciale e insieme alla coalizione di centrosinistra stiamo lavorando per confermare e allargare, dove è possibile, le maggioranze uscenti in ognuno dei tre comuni.
Unità e impegno dovranno essere alla base della campagna di tesseramento 2012 che ci apprestiamo ad aprire, già nei primi due weekend di febbraio, per riuscire a raccogliere nuove e forti energie, ma anche risorse economiche da mettere al servizio del progetto di costruzione del Pd di un Paese migliore. Solo grazie al contributo che ognuno di noi porterà al proprio circolo e unione comunale sui temi che riguardano le proprie realtà si potrà rafforzare a Siena, in Toscana e a livello nazionale, il progetto del Partito democratico. Mi auguro che il 2012 sia un anno nel quale il Pd senese sappia vincere le sfide di cambiamento e di crescita, incrementando lo spirito di attaccamento e vicinanza al territorio e alle persone, per portare avanti tutti insieme, giorno per giorno, le battaglie delle donne e degli uomini della nostra provincia con passione, umiltà e determinazione.
Questo è il momento di avere coraggio per passare dalla fase di emergenza a quella del cambiamento. Questo è il momento della responsabilità. A livello nazionale, per essere pronti per la prova elettorale con un programma fatto di proposte puntali e credibili e un’alleanza coesa, costruiti dopo una grande apertura e confronto con le forze sociali. Il Partito democratico con il sostegno a Monti ha dato dimostrazione di grande responsabilità verso il Paese e di avere a cuore l’interesse generale, ma questa non può essere considerata che solo una breve e dolorosa tappa di un viaggio più appassionante per la costruzione di un Paese migliore. Possiamo farcela se ripartiamo dal basso, se evitiamo divisioni e polemiche inutili, se ci poniamo l’ambizione di uscire a più forti dalla crisi. Come ha ricordato l’ex Presidente Carlo Azeglio Ciampi, rivolgendosi nel suo libro alle nuove generazioni, questo è il momento di “non mollare, di ricostruire l’Italia recuperando i valori di fondo come: libertà, solidarietà ed equità”. La vita si sa è fatta di doveri e fatiche, ma anche di visione. Per questa ragione, come scrive Ciampi: “ Guarda avanti, perché non sfuggano alla tua attenzione sentieri nuovi, mai praticati; non avere paura di osare, non permettere alla rassegnazione di fermare i tuoi passi e non temere la possibilità di un insuccesso, perché sono meno da temere proprio quelle cose che fanno più paura”. Disponiamo di risorse umane e capacità culturali sufficienti per superare la crisi e procedere sulla strada della crescita e del cambiamento. A Roma, e certamente a Siena.
Grazie.
Direzione territoriale 23 gennaio 2012 Relazione del Segretario provinciale Elisa Meloni
Cari democratici e care democratiche,
la Direzione territoriale di questa sera, ha l’obiettivo di aprire una prima riflessione e un percorso politico e programmatico che ci accompagnerà nei prossimi mesi, che dovrà vedere un grande protagonismo e una massiccia partecipazione, oltreché condivisione di tutto il Partito democratico senese. Non possiamo nascondercelo: stiamo vivendo il momento più difficile e complesso che il nostro Paese e il nostro territorio abbiano mai vissuto nella storia repubblicana. La crisi economica e finanziaria, il progressivo indebolimento della politica europea e mondiale, sommata a una sempre più forte disaffezione e sfiducia, fortemente alimentata dalla cultura populista e demagogica che ha dominato quasi per un ventennio, e le grandi difficoltà che anche il nostro territorio, da sempre depositario di grandi risorse, sta vivendo, rendono quella attuale una fase inedita, straordinaria, che necessita di scelte, risposte, obiettivi, altrettanto inediti e straordinari. Nella consapevolezza che una fase ormai si è chiusa e tutti abbiamo il dovere politico e morale, ma soprattutto la responsabilità di riaprire un cantiere di confronto, dialogo, condivisione, a partire dal quale segnare un nuovo, più forte e determinato protagonismo del nostro Partito e delle nostre Istituzioni.
Un appello alla fiducia è stato lanciato anche da Giorgio Napolitano, nel sesto e forse più difficile discorso di fine anno del suo mandato, quando parlando della crisi economica ha detto che "Resta grave" ma che "L'Italia può e deve farcela". Anche se: “E' faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno. Lo sforzo di risanamento del bilancio culminato nell'ultimo, impegnativo decreto, deve perciò essere portato avanti con rigore. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l'economia riprenderà a crescere: il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale". Insomma, tutto il Paese è coinvolto.
Rispetto alle difficoltà economico-finanziarie è necessario che la nostra società ne esca più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa, in primo luogo assicurando un futuro ai giovani e ripensando a rinnovare le politiche sociali, certamente senza rinunciare al modello europeo e senza intaccare dignità e diritti del lavoro, ma accettando di rivedere il modo di concepire e distribuire il benessere.
La ricetta per la ripresa passa anche attraverso la lotta a due piaghe nazionali: corruzione ed evasione. Il terreno di lavoro e su cui è necessario confrontarsi è l'Europa. Occorrono senza ulteriori indugi scelte adeguate e solidali per bloccare le pressioni speculative contro i titoli del debito di singoli paesi come l'Italia, perché il bersaglio è l'Europa, ed europea deve essere la risposta. Una risposta in termini di stabilità finanziaria e insieme di rilancio dello sviluppo, senza sottovalutare la prospettiva della recessione con tutte le sue conseguenze.
Guardando al futuro vorrei riprendere anche le parole di Barbara Spinelli (“la Repubblica”, 11 gennaio) quando scrive che: “Occorre vedere nella crisi odierna una sfida, una trasformazione possibile, perché per dare dignità al nostro futuro occorre decidere oggi quale crescita vogliamo”. La Spinelli sottolinea che oggi per dare dignità al nostro futuro occorre investire su nuove persone e classi: prima fra tutti gli immigrati, senza i quali finanziare il welfare sarebbe impossibile; i precari, in modo che possano mettere a frutto l’istruzione e la formazione a casa loro; i professori e i ricercatori. In un saggio uscito sul suo blog un giovane studioso di bolle finanziarie dell’università del Michigan, Noah Smith ha scritto: “Il debito di uno Stato di per sé non è malvagio, ma lo diventa quando lo scarichiamo sulle generazioni future per poter consumare adesso”. In realtà occorrerebbe fare il percorso inverso: investire sulle produzioni utili nel futuro e consumabili in maniera nuova da figli e nipoti. Questa credo che sia la vera rivoluzione da fare: onorare chi viene e non ha ancora voce né rappresentanza per avere nel lungo periodo una speranza.
Una fiducia nel futuro che si scontra duramente con il rapporto “Noi Italia” diffuso dall’Istat. La fotografia impietosa di un Paese in crisi con 8,3 milioni di poveri, 3,1 di poverissimi. Il dato più allarmante è quello economico. Più otto milioni di persone vivono in condizioni di povertà relativa. Rappresentano il 13,8% della popolazione, l'11% delle famiglie residenti. La povertà assoluta coinvolge, invece, oltre 3 milioni di persone, il 4,6% delle famiglie. I più colpiti sono i giovani.
In Italia un giovane su cinque non lavora e non studia. Tra i 15 e 29 anni, i Neet (acronimo inglese di "Not in education, employment or training") in Italia sono più di 2 milioni (il 22,1%), la quota più alta dell'eurozona e la seconda dell'Unione europea dopo la Bulgaria. Per il terzo anno consecutivo, i dati dimostrano poi una crescita del tasso di disoccupazione che raggiunge l'8,4%, anche se il valore è comunque inferiore a quello dell'Ue che si attesta a 9,6%. La disoccupazione di lunga durata, che dura cioè da oltre 12 mesi, riguarda il 48,5% dei disoccupati nazionali. L’Italia arranca anche sul fronte ricerca e sviluppo, dove rispetto all’Europa, si registrano meno investimenti, meno addetti e meno laureati. Rispetto al resto d'Europa, poi, l'Italia spende poco per la ricerca. Solo l'1,26% del Pil nel 2009. I ricercatori - 3,8 ogni mille abitanti - sono al di sotto della media europea e distribuiti in maniera eterogenea sul territorio. La quota di imprese innovatrici, soprattutto del settore industriale, cresce dal 27,1% a 30,7%. Il numero di laureati in discipline tecnico-scientifiche rimane basso: sono 12 ogni mille abitanti tra i 20-29enni. Un dato numericamente inferiore alla media europea che viene però riprodotta quando si analizza la quota di imprese italiane con almeno 10 addetti che utilizza la connessione internet a banda larga. Sono l'83%.
Una serie di dati che sono l’amara conferma che in questi anni di mal governo la crisi, più volte negata, non ha fatto altro che colpire duramente giovani e donne. Oggi poi dall’operaio alla commessa sono 2 milioni i lavoratori, soprattutto donne, costretti a firmare lettere di pre-licenziamento all’atto dell’assunzione. Una pratica barbara, quella delle “dimissioni in bianco”che colpisce soprattutto le donne-mamme, visto che come specificano i dati offerti dalla Cgil di Pistoia, questa clausola è nascosta nel 15% dei contratti a tempo indeterminato.
Oggi, quindi, di fronte al rischio incombente della recessione, questo storture sul mercato del lavoro, rendono il nostro Paese ancora più povero e fragile. Una condizione preoccupante con cui governo e politica devono fare i conti per avviare con determinazione e coraggio misure per la crescita e per l’equità. Non si può che ripartire puntando sul lavoro e sulla coesione sociale. Dal Governo Monti gli Italiani si aspettano nel 2012 crescita, fiducia ed equità. Sull’equità molto si è discusso nelle ultime settimane, con conclusioni che non considero ancora soddisfacenti. Come ha detto Bersani il Governo ha fatto parecchie cose buone, ma alcune scelte non vanno bene. La crescita, orizzonte imprescindibile è ancora assai lontano. Se le previsioni si avvereranno, come sembra abbastanza inequivocabile, nel 2012 vivremo la quinta fase di recessione dal 1980. L’incertezza sui mercati finanziari e il fardello del debito sempre più pesante hanno portato organizzazioni internazionali e istituti di ricerca a rivedere al ribasso le stime sull’andamento del Pil della penisola e a tratteggiare uno scenario a tinte fosche. Le nuove previsioni del Fondo monetario internazionale sul nostro Paese annunciano ufficialmente un anno di fermo per l’economia mondiale: il Pil globale crescerà solo del 3,3%, ma soprattutto prevede due anni di vacche magre per il nostro Paese e una flessione del prodotto pari al 2,2% del Pil quest’anno, mentre nel 2013 la crescita in Italia sarebbe -0,6%. La diagnosi è legata al fatto che tutto il mondo risentirà pesantemente delle crescenti tensioni nell’area euro, connessi alla crisi dei debiti sovrani. I rischi al ribasso sono aumentati nelle ultime settimane, quando lo stesso Bollettino di Banca d’Italia ha avvertito che il futuro sarà per l’Italia al ribasso, con due possibili scenari: uno con la recessione a meno 1,5% di Pil quest’anno, una crescita zero per l’anno prossimo e una ripresa pari a +0,8% nel 2013. Per quanto riguarda il 2012, l’incertezza sui possibili sviluppi della crisi del debito sovrano è tale da determinare una situazione di assoluta variabilità che oscilla tra una crescita pari a zero a una flessione dell’attività produttiva pari a tre punti.
La situazione dell’eurozona è molto seria e pesante e negli ultimi mesi è peggiorata. Lo stesso presidente della Banca Centrale Europea (Bce), Mario Draghi si è dichiarato fiducioso che l’euro si troverà in una condizione migliore nel 2012, in quanto molti Governi stanno affrontando con convinzione, determinazione e realismo le due cause alla radice della crisi del debito sovrano dell’eurozona: la mancanza di disciplina fiscale e di riforme strutturali. Draghi, che qualche giorno fa al Parlamento europeo, aveva ricordato che le manovre di risanamento avranno a breve effetti recessivi, ma ha anche aggiunto che dobbiamo abituarci a vivere senza curarci delle agenzie di rating e anzi che occorre limitare il loro potere. Oggi che il capitalismo è diventato il giudice dello Stato, le agenzie di rating hanno travalicato la loro funzione tecnica di valutare i rischi dei singoli titoli e si sono arrogate il diritto di giudicare l’affidabilità complessiva del debito pubblico dei governi e quindi hanno assunto una funzione decisamente politica. Ma come spiega bene Mario Draghi è il caso di ridimensionare i loro giudizi, perché il loro è uno strumento di misura tra tanti, all’interno di un settore che va ricordato è privo di concorrenza. Il ridimensionamento del rating è già iniziato a dare i primi frutti, visto che, nonostante il declassamento del nostro Paese da parte di Standard&Poor’s le borse europee hanno tenuto durante tutta la settimana. Anche il bollettino economico diffuso, qualche giorno fa, dalla Bce sostiene che ci sono timidi segnali di una stabilizzazione dell’attività su livelli modesti: nel 2012 l’economia dell’eurozona potrebbe registrare una ripresa seppure graduale. Draghi ha precisato che sui mercati si vedono già alcuni segnali positivi, soprattutto per le banche, come dimostrano i benefici dell’asta di prestiti triennali all’1% da 489 miliardi di euro di dicembre. Un notevole contributo, quindi, al miglioramento della situazione delle banche, ma anche al clima di fiducia.
La crisi, infatti, ci obbliga a un salto di qualità e invece che cedere al pessimismo, occorre concentrarsi nelle azioni di promozione delle forze attive della società che, nel nostro Paese ci sono, come specifica il 23esimo rapporto Eurispes. Nelle giovani generazioni, ma anche nei lavoratori con maggiore esperienza è presente un enorme serbatoio di professionalità, unito a un alto potenziale di creatività e spirito di iniziativa che occorre promuovere mettendo in campo i necessari meccanismi per premiare merito e competenze senza dimenticare socialità e pari opportunità.
Proprio per dare una scossa all’economia e determinare le condizioni per la crescita del Paese, Monti ha dato il via al decreto sulle liberalizzazioni che inaugura la “Fase due” del suo Governo. Le disposizioni, a detta di Monti, consentiranno, nel breve periodo, di traghettare l’economia nazionale fuori dalla spirale recessiva, di far salire il prodotto interno lordo dell’11%, i consumi dell’8% e i salari reali di quasi il 12%. Un primo passo, quindi, che ci auguriamo possa veramente dare gli effetti sperati. Si tratta di un provvedimento a 360 gradi che il Pd ha sempre chiesto per aiutare i consumatori e le imprese, abbassare i prezzi, sbloccare gli investimenti e creare lavoro. Come ha ricordato il segretario Bersani, nel corso dell’assemblea nazionale dello scorso weekend: “Dobbiamo dare una mano a garantire i meccanismi di crescita tutelando il lavoro e mettendo in equilibrio il sistema, per questo sulle liberalizzazioni proporremo di fare qualcosa di più, soprattutto su quelle materie che incidono direttamente sulle tasche dei cittadini, dei pensionati, delle famiglie numerose”. Banche, assicurazioni, energia gas, trasporti, professioni, distribuzione di farmaci e carburanti sono i settori prioritari d’intervento, che il Pd già un anno fa aveva inserito nel suo Piano nazionale di riforme alternativo a quello che il Governo Berlusconi presentò a Bruxelles. Purtroppo si è sprecato tutto questo tempo. Ora però è necessario andare avanti con coraggio e trasparenza, ribadendo che liberalizzare è importante, che riformare e civilizzare il mercato del lavoro è importante, ma che non è sufficiente per creare lavoro. “Bisogna essere molto concreti ed esserlo subito - ha detto Bersani - così che i mesi della difficoltà che abbiamo davanti siano anche i mesi della speranza e della prima riscossa”. Una spinta propulsiva che da Roma occorrerà mettere in campo anche sul nostro territorio: dove siamo pronti al confronto e all’ascolto, aprendo i nostri circoli e impegnando i nostri amministratori e tutto il gruppo dirigente, per ribadire che il Pd senese sarà sempre una forza riformista al servizio dei cittadini e del loro benessere.
Per il futuro del nostro Paese, oltre al riordino della finanza e alla crescita economica, sono convinta che l’agenda politica non può che essere costruita anche sul riordino del sistema istituzionale e delle autonomie locali. Un’urgenza che oltre per i motivi legati alla riduzione dei costi, trova la sua ragione fondante nella necessità di dare vita a un sistema più efficace nella gestione delle funzioni assegnate. Per questa ragione come Pd ci sentiamo chiamati a una prova di rigore e di responsabilità a cui non possiamo e vogliamo sottrarci. Solo un sistema istituzionale efficiente ed efficace può restituire credibilità al Paese e mettere seriamente in moto la crescita. La Provincia di Siena ha percorso questa strada fin dall’inizio della sua legislatura. Oggi, però, per le Province sta per suonare la campana dell’ultimo giro. Dopo un continuo stop and go di norme che mutano la data di cancellazione delle attuali Giunte e Consigli provinciali e a seguito di durissimo braccio di ferro tra Governo e Unione province italiane (Upi), c’è stata l`ennesima riscrittura della norma che stabilisce che le Giunte e i Consigli in carica arriveranno alla fine del loro mandato, prima di essere cancellati.
Dunque, a scadenza naturale i consigli provinciali dovrebbero essere nominati da quelli comunali, composti da un massimo di 10 persone (compreso il Presidente), e per i consiglieri dovrebbero sparire indennità e gettoni di presenza. Nel frattempo le Regioni dovranno legiferare per attribuire le funzioni delegate alle Province, su questioni relative al personale e per regolare il rapporto tra maggioranze e minoranze e il sistema elettorale. Peraltro la cancellazione delle Province avviene all’interno di un quadro in cui gli organi periferici dello Stato, disegnati sulla dimensione provinciale, vengono mantenuti. Da più parti e in tutte le occasioni si sentono voci che sostengono che abolendo le Province si risparmierebbero 12 miliardi, ma si tratta di dichiarazioni prive di fondamento. A questo proposito vi invito a leggere il recente studio sulle Province dell'Università Bocconi che rileva che 12 miliardi è la spesa totale che le Province sostengono per lo svolgimento delle proprie funzioni (strade, trasporti, formazione professionale, edilizia scolastica, centri per l' impiego, etc) che in ogni caso qualcun’altro dovrebbe sostenere. Non siamo conservatori, ma sappiamo che un ente intermedio come la Provincia esiste in tutta Europa e anche se non ci interessa difendere tutto a qualunque costo, siamo anche consapevoli che si debba procedere velocemente a una definizione puntuale delle funzioni di ogni ente per assegnare responsabilità univoche, affinché la pubblica amministrazione non costituisca un calvario per cittadini e imprese, come oggi troppo spesso accade. In realtà, forse, dal Governo Monti ci aspettavamo una maggiore resistenza alla retorica che dilaga al grido di “aboliamo le Province” e che quindi formulasse in materia di enti locali, una disciplina legittima e ragionevole, anche solo per il fatto che prevedere o meno l’esistenza di enti intermedi, previsti dalla nostra carta costituzionale, è un tema costituzionale. Come ha ribadito sulle pagine de “Il Sole 24 Ore” il professor Valerio Onida, il Governo Monti ha scelto di portare avanti un’operazione surrettizia che svuota le Province della loro natura costituzionale. Il percorso, invece, verso l’efficienza si realizza in altro modo se si vuole ottenere il vantaggio di essere realistico e di produrre veramente il contenimento della spesa pubblica. Un tema questo a noi caro che può mettere alla prova la classe dirigente nazionale per capire se vuol passare ai fatti, abbandonando le dichiarazioni altisonanti che normalmente non producono effetti. Se ci sarà chiesto un contributo siamo disponibili, sicuramente partendo da una riforma del Parlamento, con il Senato Federale e Carta della Autonomia; con un forte dimagrimento degli uffici decentrati dello Stato, che mette in campo una serie discussione sul tema Province, non disgiunta da una seria ricognizione sul riordino del sistema regionale.
In questi anni la Provincia di Siena ha dimostrato, come si proponeva il suo Presidente Simone Bezzini, di essere “cabina di regia”, mantenendo l’impegno di tenere insieme territorio ed esigenze diverse, e ha risposto alle difficoltà, legate alla profonda crisi che attraversa il Paese e che tocca da vicino non solo il nostro tessuto economico, ma anche la vita di migliaia di lavoratori, imprese e famiglie. In tutte queste manifestazioni reali l’amministrazione provinciale ha dimostrato di essere un ente forte, in grado di esercitare un ruolo attivo di coordinamento, di programmazione e di promozione della solidarietà e della coesione tra i territori, grazie a una visione condivisa delle strategie e delle azioni. In questi anni molto è già stato fatto per far diventare la Provincia di Siena, un esempio di coesione sociale e di sviluppo tra i più avanzati in Italia, ricercando le soluzioni concrete ai nuovi bisogni delle imprese e dei cittadini; trasformando le difficoltà in opportunità e attraendo sul territorio non solo risorse finanziarie ma anche capitale sociale e nuova imprenditorialità.
Una “cabina di regia” che, attraverso la costruzione di un governo policentrico, ha dato protagonismo a tutte le aree; valorizzando le eccellenze; rinnovando l’alleanza tra mondo del lavoro e dell’impresa; mettendo al centro le persone, dando una speranza di futuro ai nostri giovani e delineando un tratto essenziale dell’identità di tutti noi e dell’intero territorio provinciale. In più, in questi anni la Provincia di Siena è riuscita a mantenere standard economici e occupazionali tra i più alti in Italia e in Europa, frutto di una macchina amministrativa efficiente luogo sempre aperto alle persone, alle imprese e ai loro bisogni. Un esempio di buon governo che spazza via i fantasmi dell’antipolitica.
Ora si apre una fase per noi assai complessa perché rischiamo che quel punto di riferimento che ha significato benessere e qualità della vita elevata in tutti e 36 Comuni, scompaia e pensare che il futuro possa essere un misero ente di secondo livello, fa rabbrividire al solo pensiero.
Tocca adesso alla Regione disegnare e attribuirne funzioni e competenze. E non vorrei che, come è accaduto per le norme recentemente approvate sui servizi pubblici locali e per trovare un argine ai ritardi accumulati negli anni, inevitabilmente non si scelga di accentrare tutto, con gravi rischi per l’effettiva funzionalità dei servizi, per la democraticità, la trasparenza e la condivisione dei territori, ma ancora più grave, per la distanza dagli interessi delle comunità e dei cittadini. Per questo mi sento di chiedere ai nostri Consiglieri regionali di fare il possibile per spingere la Regione , così come hanno fatto altre realtà del nostro Paese, affinché promuova presso la Corte Costituzionale ricorso rispetto alla illegittimità della manovra Monti in merito al tema delle Province.
L’anno che ci lasciamo alle spalle ha reso ancora più profonda la frattura tra cittadini e politica. Grande insoddisfazione nei confronti della politica e per i rappresentanti istituzionali è stata espressa, secondo una ricerca Demos della fine del 2011, dall’ 80% degli Italiani. Quasi otto persone su dieci pensano che, nel corso del 2011, le cose sotto il cielo della politica siano peggiorate. E se da una parte, il deficit di credito ha aperto la strada al moltiplicarsi delle forme di mobilitazione (movimenti, forme di partecipazione, l’onda referendaria), dall’altra ha dato vita a forme di eccezionalità democratica, come il Governo Monti che però è che chiaro deve la sua esistenza alle forze politiche che, come il Pd, con grande senso di responsabilità, lo appoggiano e ne garantiscono la sopravvivenza. Dopo il Professore, però, è necessario che la politica torni a fare la sua parte, perché nel cuore della crisi che sta attraversando l’Italia e le altre nazioni dell’euro, la politica deve avere un peso più autorevole e guidare l’economia con scelte forti e condivise, insomma la politica abbia “l’animo grande e l’intenzione alta” come scriveva Machiavelli. L’Italia deve riprendere in Europa il ruolo che ha perduto per responsabilità di Berlusconi e che piano piano il Premier Monti sta facendoci riguadagnare. Oggi il difetto della politica è quello di non avere l’autorevolezza e la forza di dare risposte. Una mancanza anche nei confronti dei movimenti, che ci chiedono di riprendere le redini e correggere le storture, le disuguaglianze, le ingiustizie, la drammatica esclusione sociale di una generazione che è il prodotto di uno sviluppo capitalistico senza regole. Napolitano, sempre a fine anno, in tal senso ha dato a tutti un monito ben preciso. E Mario Tronti ha ricordato: “Non è vero, come recita la vulgata corrente, che la crisi della politica deriva dal suo distacco dalla società civile. Al contrario, la politica entra in crisi perché somiglia troppo alla società civile. Ne ha assunto i peggiori vizi ed è diventato l’hegeliano regno dei bisogni”. La vera risposta della politica è in termini di autorevolezza, di capacità di riguadagnare le leve del potere. La politica perde prestigio perché si separa dalla forza, e così facendo diventa predicazione. L’antipolitica, che si è rafforzata durante il Governo Berlusconi, produce leader capaci di raccontare belle storie, ma incapaci di decidere. Ecco, la crisi della politica è lì: quando non è capace di incidere sulla realtà. Al contrario la politica deve tornare a governare i grandi processi e raccogliere la sfida dell’economia globale. Questo si può fare soltanto con istituzioni forti e all’interno dell’Unione europea.
I movimenti progressisti non possono che essere europeisti ed è molto importante che i progressisti vadano al governo sulla base di idee condivise, che individuino grandi obiettivi comuni: l’Europa non può ridursi a tagli e austerità. Occorre una strategia europea di rilancio della crescita, attraverso un grande piano di investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione ed energia verde. Oggi le istituzioni europee sono indebolite, sostituite da pochi governi nazionali, prigionieri dei loro problemi interni, incapaci di assicurare un governo politico dell’Europa, per questo occorre riprendere in mano il processo di integrazione.
“Peggio della politica c’è solo l’antipolitica”. La mancanza di fiducia nella politica può spingere i cittadini a delegare la propria sovranità a dei tecnici, rinunciando in tal modo al principio stesso della democrazia. Forse il discorso funzionerebbe meglio al contrario: i cittadini devono certamente rivendicare un diritto, ma dall’altra parte deve essere la politica a riconquistarne la fiducia. E ciò che rende migliore la politica non è, o almeno non dovrebbe essere, il confronto con un’alternativa peggiore. Come insegnerebbe ogni bravo sportivo, vittoria è quando si vince sulla propria bravura, non sugli errori dell’avversario.
Eppure noi crediamo che la politica possa e debba vincere. La Politica, sì, è migliore dell'antipolitica. Non la politichetta, quella degli intrighi, dei sotterfugi, della lotta all'ultima tessera o alla poltrona più remunerativa. La Politica con la P maiuscola. La Politica che, in un tempo così anestetizzato nei confronti di tutto, in cui le emozioni sono delegate a patetiche scene da film, sappia ancora infondere passione. La Politica che sappia restituire delle speranze.
Oggi la realtà della crisi più dura del secondo dopoguerra ci ha dimostrato che un tecnico non basta, perché neanche i tecnici fanno miracoli, occorre riprendersi con l’arma democratica del voto il proprio spazio. E anche se non è mia intenzione giudicare l’operato dei tecnici, mi preme sottolineare che la politica non è tecnica, perché una nazione non è un insieme meccanico di individui. È un insieme organico di cittadini, di anime, di pensieri, di tradizioni, di storie al tempo stesso individuali e collettive. In altre parole, una comunità umana a cui non servono soltanto delle leggi che funzionino, ma anche una visione del mondo, un’etica, una filosofia, un’idea, un’impostazione di pensiero che regoli e guidi il modo in cui queste leggi vengono formulate, messe in atto e fatte rispettare. E questo compito può spettare solo ad un politico nel senso più alto e sublime del termine, colui che, secondo la definizione aristotelica, governa e guida la comunità dei cittadini. E per ridare vigore e forza alla nostra democrazia, occorre dotarsi di uno strumento partecipativo fondamentale e occorre, quindi, impegnarsi per cambiare l’attuale legge elettorale. Il Parlamento ha il dovere morale e politico di farlo perché come ha scritto Massimo Giannini su “la Repubblica”: “Solo liberandoci del Porcellum, il brutto giorno della democrazia (ossia quello determinato dalla decisione della Consulta sui referendum) si potrà trasformare nella grande chance democratica”, che sono sicura spazzerà via i fantasmi dell’antipolitica. Il Partito democratico è l'unica forza politica ad aver presentato formalmente la propria richiesta di riforma elettorale in Parlamento. Pier Luigi Bersani ha chiesto che la conferenza dei capigruppo di Camera e Senato si riunisca al più presto per stabilire un calendario dei lavori, perché il “Porcellum” non può che aprire nuovamente un solco drammatico tra cittadini e istituzioni.
La presa di posizione del Presidente della Repubblica da una parte e dei Presidenti dei due rami del Parlamento è una spinta ulteriore a muoversi sul terreno di un confronto e un dialogo stringenti, in tempi ravvicinati, nella consapevolezza che questa è una materia su cui nessuno può fare da solo, ma dovrà essere trovato un punto d’incontro. La riforma del Pd prevede un maggioritario a doppio turno per il 70% dei seggi da attribuire, assieme a una quota proporzionale su base regionale (pari al 28% dei seggi) oltre al cosiddetto “diritto di tribuna”: il restante 12% attribuito con metodo proporzionale alle liste nazionali corrispondenti ai partiti, che non siano riusciti a eleggere candidati né nell’uninominale né nel proporzionale. Secondo il Partito democratico, e non possiamo tutti condividerlo, è determinante per un rinnovato rapporto di fiducia con i cittadini e con il Paese, per il Pd è fondamentale che gli italiani possano scegliere, attraverso lo strumento democratico del voto, chi siederà in Parlamento e chi li governerà. Non posso altresì, che condividere, come detto più volte in questa sede, che se non ci fossero le condizioni per una riforma, per quanto riguarda le scelte del Pd non potrà che essere utilizzato il metodo delle elezioni primarie.
Veniamo al nostro territorio, perché sono convinta che a Siena noi Democratici sapremo, con il nostro impegno civile e politico, dare gambe alle idee e ai valori del nostro Partito. Come ricordavo all’inizio, stiamo vivendo una fase difficile, ma dobbiamo avere insieme la capacità di costruire una nuova stagione di sviluppo e benessere per il nostro territorio, in un quadro molto cambiato rispetto agli ultimi decenni. Come hanno ricordato solo qualche giorno fa Simone Bezzini e Franco Ceccuzzi: “Siena ha i ‘numeri’ per guardare al domani con fiducia”. Siena e la sua provincia hanno la forza e l’energia per superare questo momento difficile, anche grazie a progetti e investimenti messi in campo in questi anni, che oggi rappresentano filoni di sviluppo strategici a livello regionale e non solo. Siamo pronti, grazie al lavoro fatto in questi anni, a essere protagonisti in alcuni dei settori che saranno i motori principali dell’economia di domani: dal biomedicale alle biotecnologie fino all’Ict e al distretto culturale, con al centro il recupero e il rilancio del Santa Maria della Scala, per vincere la sfida per Siena capitale europea della cultura nel 2019.
A dicembre è stata presentata la relazione sociale 2010 della Provincia di Siena dove si vede un aumento della popolazione e si registra un tasso di disoccupazione inferiore rispetto ad altre realtà toscane. La relazione sociale ci consegna la fotografia di una provincia dove l’immigrazione si conferma una risorsa culturale, sociale e demografica. Dal punto di vista delle famiglie si conferma, il dato nazionale, sulla crescita dei nuclei monogenitoriali, oltre a separazioni e divorzi, con una variazione dei carichi di cura per anziani e bambini e una crescita degli indicatori di fragilità. In aumento anche il carico potenziale di assistenza agli anziani non autosufficienti che grava sulle famiglie, con dati superiori alla media regionale, e agli anziani fragili ad altissimo rischio di non autosufficienza, pari al 15 per cento delle donne residenti e al 13 per cento degli uomini. Una provincia dal reddito medio – alto, guardando al reddito medio Irpef relativo al 2009, la provincia di Siena risulta più ricca della media regionale, ma solo grazie alla zona senese (22.743 euro della provincia di Siena contro i 22.499 euro della Toscana). Dalla relazione sociale emerge anche un quadro indicativo delle difficoltà economiche che vivono molte famiglie della provincia, alle quali gli enti locali, a partire dai Comuni, ogni giorno, cercano di fare fronte con forme di integrazione. Preoccupante anche il dato riferito ai giovani NEET, ossia quelli di età compresa fra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non cercano un impiego. Il dato provinciale senese, pari al 17,5 per cento. Secondo l’indagine realizzata dall’Istituto di ricerche economiche sociali Ires Toscana per conto della Provincia di Siena, l’occupazione continua a tenere, con dati migliori rispetto alla media regionale. Peggiora, però, la qualità del lavoro, con un aumento di forme contrattuali “precarie”. La fotografia scattata dall’Ires, in relazione al primo semestre 2011, descrive una provincia che ha retto meglio il momento più acuto della crisi rispetto al contesto regionale, ma che presenta comunque elementi di preoccupazione, dall’aumento del lavoro temporaneo (solo l’8% dei nuovi avviamenti è rappresentato dai contratti a tempo indeterminato), alla crescita degli iscritti ai Centri per l’impiego, a partire dai giovani (+23%). Gli ultimi dati Istat sull’occupazione, inoltre, segnalano una situazione e una tendenza migliore in provincia di Siena rispetto al resto della regione: il tasso di attività, che in Toscana diminuisce, passa dal 68,9% al 69,5%, mentre quello di disoccupazione scende dal 5,1% del 2009 al 4,9% del 2010, in controtendenza rispetto al dato regionale (dal 5,8% al 6,1%) e, ancor di più, a quello nazionale (dal 7,8% all’8,4%) e ancor di più a quello nazionale.
Il mercato del lavoro ha ripreso timidamente a muoversi, ma preoccupa il fatto che a crescere è tutto il lavoro atipico e dunque peggiora la tipologia e la qualità dell’occupazione, quindi aumenta la minaccia di una vita più precaria. Con le misure straordinarie messe in campo in questi anni dalla Provincia di Siena è stato assicurato una sorta di ammortizzatore sociale anche per chi ne era privo, e sicuramente ciò ha contribuito a limitare il disagio sociale. Ma servono interventi complessivi di riforma nazionale che possano rendere più conveniente per le aziende il ricorso al lavoro stabile e occorre proseguire con gli incentivi alle aziende che assumono con contratti a tempo indeterminato, come stanno facendo la Regione e la Provincia. Dal punto di vista dell’analisi del quadro economico generale, come in Toscana, si assiste ad un incremento della produzione manifatturiera, ma ci sono difficoltà a tornare sul sentiero di crescita pre-crisi.
Buoni i dati sull’export, con un aumento nel secondo trimestre 2011 del 4% rispetto al 2010, del 53% rispetto al 2009: la domanda estera, in particolare, sta trainando nella metalmeccanica, nella chimica e nei minerali e nei servizi. Tutto questo è stato possibile grazie ai due pacchetti di misure anti crisi, emanate dalla Provincia di Siena grazie alle risorse della Fondazione Mps e all’impegno profuso, passo dopo passo, in ogni azienda in difficoltà con l’obiettivo di difendere punti produttivi e occupazione.
Dobbiamo spingere ancora di più sul terreno dell’innovazione e ricerca, e considerare il Patto strategico che sarà siglato con la Regione uno dei più importanti contributi per agganciare la ripresa e guardare con speranza al futuro. Un patto che avrà bisogno di un continuo confronto con le parti sociali e con gli attori economici e non solo, perché, mai come ora, è necessario lavorare in stretta collaborazione e sinergia con le istituzioni locali e regionali per aprire il territorio a nuove sfide. Il “Governo dei Nove”, come è stata ribattezzata la cabina di regia formata da Provincia, Comune, Camera di Commercio e sei sindaci in rappresentanza dei territori, nasce proprio all’interno di questo rinnovato spirito di responsabilità che servirà non solo a tutelare, ma anche a rafforzare l’elevato livello qualitativo del territorio, mettendo in campo un nuovo modello di crescita, che valorizzi la capacità di fare sintesi e selezione degli investimenti. Questo territorio ha già dentro di sé “i numeri” per farcela'‘ puntando sulla credibilità e sull’autorevolezza delle istituzioni e delle forze politiche che la abitano. Tutto questo anche contro operazioni in atto, volte a destabilizzare la città e la provincia ed a recidere il legame storico tra banca e territorio, mosse solo da interessi ed ambizioni particolari. Lo scenario che abbiamo di fronte è tanto e profondamente diverso dal passato e servirà la capacità, la lungimiranza, ma anche il grande senso di responsabilità e la ricerca di condivisione e unità, che non possono non essere gli obiettivi di tutti. Le migliori risorse andranno investite proprio in questo senso.
Rigore, trasparenza e legittimità devono essere anche al centro dell’azione di risanamento dell’Ateneo, l’abbiamo detto più volte. La chiusura delle indagini rappresenta un importante passo avanti per arrivare a individuare le responsabilità e la verità in tempi rapidi. L’Università ha bisogno di credibilità e autorevolezza perché solo in una situazione di chiarezza e di piena legittimità si può continuare a portare avanti un piano di risanamento senza rendere vani tutti gli sforzi e i sacrifici sin qui fatti da tanti lavoratori del nostro ateneo. Serve poi maggiore equità nel distribuire questi sacrifici, che finora sono stati sostenuti prevalentemente dal personale tecnico amministrativo, dai precari, dai dipendenti delle cooperative sociali, dai collaboratori linguistici. Serve maggiore equità ma anche più coraggio nella razionalizzazione delle sedi e parallelamente all’azione di risanamento è necessario individuare gli obiettivi strategici: da una riorganizzazione interna del personale e dell’attività formativa, dal rafforzamento del dottorato e della ricerca, da una sempre maggiore attrattività nazionale e internazionale e da una collaborazione sempre più forte col territorio senese.
Un altro pilastro del nostro territorio è il Monte dei Paschi, terzo gruppo bancario del Paese e azienda più grande della Toscana con 30mila dipendenti. La Banca rappresenta una grande risorsa per Siena e per l’Italia, in virtù del grande sostegno che fornisce al sistema produttivo del Paese, dei livelli occupazionali che ha sempre generato e delle importanti ricadute assicurate all’economia locale. La recessione economica, ha condizionato e condiziona, pesantemente, la redditività di tutte le aziende di credito (legate all’andamento del ciclo economico, alla solvibilità dei soggetti finanziati, all’aumento di rischio di credito delle imprese). Fino ad oggi questi rischi sono stati ben contenuti, anche anticipando le regole di Basilea 3, che stabilivano nuovi coefficienti patrimoniali a seguito dei quali BMPS, in compagnia di numerosi altri istituti di credito, nel corso del 2011 ha proceduto a un aumento di capitale, per circa di 2,5 miliardi. In merito a quest’argomento che abbiamo affrontato anche nel corso di una precedente Direzione, mi fa piacere ricordare chela Banca, in tutta la sua storia, anche nei momenti più difficili, ha sempre considerato la vicinanza al territorio, alle imprese e alle famiglie un grande fattore strategico.
Il terzo trimestre è stato caratterizzato da scarsi risultati economici, dovuti per la totalità delle banche italiane a ricavi non ricorrenti, o meglio straordinari, in assenza dei quali si sarebbero manifestate perdite più o meno rilevanti (la posizione patrimoniale, compresi i tremonti bond è significativa essendo superiore all’11% di core tier 1, la cui restituzione è necessaria, sia pur oggi, di fatto, ostacolata dalle contingenze di mercato. Vale la pena sottolineare che senza T bond il Monte manterrebbe un core tier 1 di 8, 95 %. Vi è da auspicare che la banca riesca a restituire questi costosi strumenti di capitale nel più breve tempo possibile, sempre però tenendo conto che la stabilità della banca in questo specifico momento storico è un bene che va posto prima di ogni altra esigenza). Per fronteggiare la crisi del debito sovrano italiano l’Autorità Bancaria Europea (spinta dal FMI e dalle agenzie di rating) continua a chiedere per il Monte un aumento di capitale 3,2 miliardi (Aache il criterio adottato, del market to market, viene richiesto per i titoli di stato, penalizzando i paesi quali l’Italia, e non per i titoli illiquidi, di cui le banche del nord Europa sono piene).
Come hanno già avuto modo di dire Simone Bezzini e Franco Ceccuzzi la nomina a Dg di Fabrizio Viola è un passaggio di primaria importanza per le prospettive industriali del Monte, chiamato, come gli tutti gli altri attori del sistema finanziario, a riposizionarsi in un contesto profondamente mutato e logorato dal perdurare della crisi economica. Le priorità oggi sono due: la prima è quella di individuare gli strumenti per scongiurare un ulteriore aumento di capitale; l’altra è di predisporre il nuovo piano industriale. Intanto giovedì scorso il cda della Banca ha approvato e inviato a Bankitalia il piano per far fonte alle richieste dell’Eba che prevede: la conversione dei prestiti obbligazionari fresh 2003 e 2008, operazioni di ottimizzazione dell’attivo e del passivo secondo i criteri fissati da Basilea3, e infine un piano di dismissioni di asset. Insomma un piano che ottempera all’esercizio dell’ Eba, senza ricorrere all’aumento di capitale, perché come ha detto lo stesso Viola: “All’interno del bilancio della Banca c’è spazio per una manovra per colmare il gap patrimoniale, peraltro interamente imputabile alla copertura del rischio collegato ai titoli di stato e al netto di questa voce, il capitale della banca è adeguato”. Rispetto al piano industriale l’auspicio è che contribuisca ad aprire una stagione di sviluppo per Banca, insostituibile colonna portante dell’economia senese e toscana.
In questa tempesta finanziaria il patrimonio delle fondazioni bancarie, che negli ultimi anni hanno svolto un ruolo importante nella stabilizzazione delle partecipazioni negli istituti di credito, contribuendo a mantenere la proprietà delle banche italiane in ambito nazionale, cosa fondamentale, in questa fase di incertezza ha subito, a valori di mercato, una riduzione assai rilevante. Il reddito prodotto dagli investimenti finanziari si è anch’esso ridotto, se non annullato, diminuendo le risorse da destinare al soddisfacimento degli obiettivi istituzionali, statutariamente definiti, ma anche le stesse erogazioni. Nella scorsa primavera la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, coerentemente con i documenti programmatici di Comune e Provincia, in cui si è sempre affermato l’impegno a mantenere l’indipendenza strategica della Banca Monte dei Paschi e la sua non scalabilità, ha sottoscritto l’aumento di capitale della banca per 1,09 Mld di euro.
Tale obiettivo era raggiungibile esclusivamente attivando un debito di euro 600 milioni, poi da ridurre con le dismissioni definite nel progetto presentato al ministero per la relativa autorizzazione. Per arrivare a 428 milioni. Tali dismissioni avrebbero permesso, quindi il pagamento della prima rata di euro 200 mil al 30 giugno 2012. La restituzione dei t bond, prevista nel piano industriale con il conseguente incremento di 160 mil di euro a disposizione per gli azionisti ed i risultati economici previsti, avrebbero permesso di pagare le altre 2 rate di 50 mil in scadenza al 30 giugno 2013 e 2014 e le altre previste fino al 2017. Ma per una valutazione complessiva del debito è necessario prendere in considerazione i titoli fresh 2008 emessi per l’acquisizione Antonveneta con un valore complessivo nominale di 490 milioni (azioni e debito).
Negli ultimi documenti approvati dai consigli comunale e provinciale, dal punto di vista strategico è stato ribadito che sarà fondamentale proseguire nell’ottica di una sana e prudente gestione e del rispetto dei vincoli statutari, con una gestione del patrimonio finalizzata al consolidamento e alla diversificazione dello stesso, in modo da ridurne progressivamente sia la concentrazione, che la dipendenza dalla redditività complessiva dell’Ente dalla Banca. Dopo la sottoscrizione dell’aumento di capitale si è aperta per la Fondazione una fase nuova, inedita e molto, molto complicata.
Gli accordi raggiunti con le banche creditrici, prima di Natale, stabiliscono tappe impegnative e rigorose: entro il prossimo 15 febbraio la Fondazione dovrà predisporre un piano che preveda varie operazioni sul patrimonio, compresa la diluizione nella Banca conferitaria; ed entro il 15 marzo il piano dovrà essere definito con i creditori e poi realizzato entro il giugno 2012.
I prossimi mesi su questo fronte saranno veramente decisivi. Dovremo continuare ad avere una Fondazione in grado di svolgere il proprio ruolo con modalità, obiettivi e risorse a disposizione diverse dal passato e, al tempo stesso, mantenere salda e ancora la Banca al nostro territorio. Lo scenario che abbiamo di fronte è tanto e profondamente diverso dal passato e servirà la capacità, la lungimiranza, ma anche grande senso di responsabilità e la ricerca di condivisione e unità, che non possono non essere gli obiettivi di tutti. Le migliori risorse andranno investire proprio in questo senso.
Care democratiche, cari democratici, quello che ho cercato di tratteggiare è lo scenario che abbiamo di fronte. Credo che alla politica, oggi, dopo un’attenta e precisa analisi di quello che è accaduto negli ultimi anni e delle grandi trasformazioni in atto, spetti il compito (dal mio punto di vista, il dovere) di promuovere la più ampia discussione possibile per costruire una risposta forte, ridisegnare una prospettiva credibile e il più possibile duratura. Vi è un sentimento di sfiducia, preoccupazione e paura del futuro, che attraversa la mente e il cuore di un numero crescente di persone, nel nostro paese e nel nostro territorio a cui la politica deve essere attenta ed efficace nella capacità di risposta, anche se, in queste condizioni economiche e con tutti i tagli subiti dagli enti locali, tutto questo oggi diventa veramente complicato, come ci dimostrano le difficoltà che i nostri sindaci stanno affrontando nella predisposizione dei bilanci dei comuni. Difficoltà, ma anche impopolarità delle misure che sono costretti ad assumere.
Possiamo farcela solo se la politica riuscirà a offrire una risposta alle sfide che abbiamo di fronte. Una politica orientata all’unico Bene supremo che esista, quello Comune, al di sopra di ogni aspettativa dei singoli e di qualsiasi interesse contingente. Per questo nel costruire la nostra agenda politica per le prossime settimane e mesi, fermo restando alcune variabili non nella nostra disponibilità e relative a quello che verrà deciso a livello nazionale, considero prioritario e vi propongo un lavoro del Partito nella direzione di un appuntamento programmatico provinciale. Un’elaborazione autonoma, di contributo per la Toscana che ha previsto entro aprile la Conferenza regionale di cui inizieremo a discutere nella prossima riunione della Direzione territoriale.
Una riflessione fatta soprattutto per aggiornare quella del 2008/2009 costruita in uno scenario assai meno complesso di quello attuale, che a mio parere si dovrebbe dipanare lungo due grandi assi: quello del nuovo modello di sviluppo per il nostro territorio e quello della democrazia, partecipazione e cooperazione istituzionale. Due grandi filoni che raccolgono al proprio interno gran parte delle nostre politiche. Il primo: l’occupazione di qualità, lo sviluppo sostenibile, il modello di welfare, la cultura e l’innovazione. Il secondo: la coesione territoriale e la partecipazione democratica nel momento in cui punti di riferimento storici vengono meno e corriamo il rischio un deficit democratico a seguito delle ultime novità in campo legislativo. Due assi paralleli che si tengono, come i binari, che non possono separarsi l’uno dall’altro e sono essenziali l’uno per l’altro. Come essenziali per la tenuta democratica nel nostro territorio saranno i prossimi due appuntamenti con le elezioni, da una parte, e con la campagna di tesseramento dall’altra. La tradizione partecipativa, i valori della nostra cultura politica sono nuovamente chiamati in causa perché il compito del Pd è quello di reagire in modo unito e compatto rafforzando l'iniziativa politica e garantendo un sostegno particolare alle realtà che andranno al voto quest’anno Montalcino, Monticiano e Sarteano. A Maurizio Buffi, Mauro Cencioni e Roberto Burani, alle Giunte e ai Consigli comunali uscenti, va un forte e sentito ringraziamento da parte di tutta la Direzione territoriale, per il lavoro svolto in questi anni non semplici. Sono già aperti, in questi tre comuni, percorsi per l’individuazione dei candidati sindaco del Pd e parallelamente, a livello provinciale e insieme alla coalizione di centrosinistra stiamo lavorando per confermare e allargare, dove è possibile, le maggioranze uscenti in ognuno dei tre comuni.
Unità e impegno dovranno essere alla base della campagna di tesseramento 2012 che ci apprestiamo ad aprire, già nei primi due weekend di febbraio, per riuscire a raccogliere nuove e forti energie, ma anche risorse economiche da mettere al servizio del progetto di costruzione del Pd di un Paese migliore. Solo grazie al contributo che ognuno di noi porterà al proprio circolo e unione comunale sui temi che riguardano le proprie realtà si potrà rafforzare a Siena, in Toscana e a livello nazionale, il progetto del Partito democratico. Mi auguro che il 2012 sia un anno nel quale il Pd senese sappia vincere le sfide di cambiamento e di crescita, incrementando lo spirito di attaccamento e vicinanza al territorio e alle persone, per portare avanti tutti insieme, giorno per giorno, le battaglie delle donne e degli uomini della nostra provincia con passione, umiltà e determinazione.
Questo è il momento di avere coraggio per passare dalla fase di emergenza a quella del cambiamento. Questo è il momento della responsabilità. A livello nazionale, per essere pronti per la prova elettorale con un programma fatto di proposte puntali e credibili e un’alleanza coesa, costruiti dopo una grande apertura e confronto con le forze sociali. Il Partito democratico con il sostegno a Monti ha dato dimostrazione di grande responsabilità verso il Paese e di avere a cuore l’interesse generale, ma questa non può essere considerata che solo una breve e dolorosa tappa di un viaggio più appassionante per la costruzione di un Paese migliore. Possiamo farcela se ripartiamo dal basso, se evitiamo divisioni e polemiche inutili, se ci poniamo l’ambizione di uscire a più forti dalla crisi. Come ha ricordato l’ex Presidente Carlo Azeglio Ciampi, rivolgendosi nel suo libro alle nuove generazioni, questo è il momento di “non mollare, di ricostruire l’Italia recuperando i valori di fondo come: libertà, solidarietà ed equità”. La vita si sa è fatta di doveri e fatiche, ma anche di visione. Per questa ragione, come scrive Ciampi: “ Guarda avanti, perché non sfuggano alla tua attenzione sentieri nuovi, mai praticati; non avere paura di osare, non permettere alla rassegnazione di fermare i tuoi passi e non temere la possibilità di un insuccesso, perché sono meno da temere proprio quelle cose che fanno più paura”. Disponiamo di risorse umane e capacità culturali sufficienti per superare la crisi e procedere sulla strada della crescita e del cambiamento. A Roma, e certamente a Siena.
Grazie.
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